Averann

A cavallo tra sogni e magia...

Nome:
Località: Fano, PU, Italy

Faccio click su strane cose, che registrano strane immagini.

domenica, maggio 28, 2006

Vhaster

Vhaster... ecco dunque chi ci stava coprendo le spalle dietro a quel portone scardinato.
Vhaster è un Lillend, una creatura dei cieli devota all'arte e alla sua protezione, dotata di poteri simili a quelli dei cantastorie bardi, di cui sono i naturali ispiratori.
Egli però come arte scelse la magia, e divenne uno dei maghi più valenti di Arborea, probabilmente il più valente in assoluto, tanto da essere favorito da Noeptal in persona, la dea della Magia, che lo fece suo araldo personale, conferendogli la carica di Magister.
Quella di Magister è la massima carica cui può aspirare un incantatore di animo retto e ligio al dovere. La sua figura funge da modello per tutti gli altri incantatori, egli ha il compito di diffondere la magia e il suo uso nel mondo intero, vigilando sui modi in cui viene applicata, sui suoi abusi, e le sue perversioni.
Vhaster ricevette un enorme bagaglio di conoscenza e una benedizione personale di Noeptal che ne accrebbero ulteriormente i poteri, elevandolo ad un livello di conoscenza della magia che ben pochi altri nel Multiverso potevano vantare.
Ovviamente il rango di Magister portava con sè numerosi doveri e consegne, ma Vhaster era lieto di adempiere anche a questi, la sua sete di conoscenza e la sua voglia di lasciare un segno nell'Arte della magia, diffondendola nei più remoti angoli del Multiverso, erano tali da fargli vedere anche gli oneri associati alla carica come un privilegio.

sabato, maggio 27, 2006

Almeridian

Strano, oggi l'aguzzino sta tardando.
Di solito è puntualissimo, non vede l'ora di iniziare a lavorare. Prende molto sul serio il suo mestiere, e dalla sua espressione traspare una certa soddisfazione nell'effettuare ogni singolo gesto richiesto, quasi una sorta di celebrazione di un rituale.
Avverto dei rumori in lontananza, Djazel è già sveglio.
-Hai sentito anche tu?- Gli chiedo.
-Si, ormai è almeno mezz'ora che avverto questi rumori, ogni tanto. Sta sicuramente succedendo qualcosa di sopra!-

Si stava succedendo qualcosa, me lo sentivo dentro. Qualcosa di importante, qualcosa che avrebbe cambiato tutto di lì a poco.
Era una battaglia, ormai i rumori si facevano sempre più vicini, si distinguevano nitidamente il suono dell'acciaio che squarciava le armature e le esplosioni simili a fulmini che colpiscono il terreno.
-Forse quel bastardo ha avuto la lezione che merita!- Dissi ad alta voce.
Djazel capì subito a chi mi riferivo, e rise di gusto.

Qualche minuto dopo sentimmo delle voci poco distanti dalla porta:
-Deve essere qui dentro! Forza Almeridian!-
Almeridian... quel nome non mi era nuovo... mi sembrò che il tempo si fermasse, in un attimo affiorarono tanti ricordi nella mia mente.
Quel nome apparteneva ad un ex generale delle Armate Celesti, un Planetar, un guerriero nobile, un prode araldo dei cieli. Egli si era ritirato a vita privata, e aveva dimesso il suo battaglione dopo che questo fu decimato dalle schiere dei diavoli in una epica battaglia nella Gehenna.
Rinunciò ai suoi gradi e al suo ruolo di comandante, per intraprendere una crociata personale contro il maligno.
Almeridian non era un fine stratega, ma era un appassionato combattente. I suoi modi ricordavano quelli dei barbari del Primo Materiale, la sua furia indomita non lasciava scampo al nemico, e chiunque combattesse al suo fianco era affascianto dalla sua figura e dal suo ardore.

Dopo un paio di colpi violenti, la porta cadde, e dentro la cella entrò una luce celestiale, quasi accecante. All'interno di essa, un angelo dalla pelle color smeraldo, con delle ali piumate candide come la neve, e che imbracciava una spada troppo grossa per essere usata da qualsiasi uomo, ma che lui riusciva a manovrare alla perfezione, con precisione millimetrica.
L'aura di bontà che lo circondava, strideva con la malvagità che permeava ogni centimetro della terra che calpestavo. Si rivolse a me: -Shariell, è tempo di andare.- Non disse altro, e con un colpo deciso della sua spada spezzò le catene che mi tenevano prigioniero. Quelle catene erano intrise di potere maligno, su di essere erano incise parole scritte nella lingua oscura dei demoni, e pesavano su di me come il piede di un gigante su di una formica indifesa.
Non appena Almeridian le spezzò, sentii la mia forza fluire di nuovo dentro di me, era come se mi fossi riposato per interi mesi.

Fuori dalla porta intanto, si sentivano le formule recitata da un incantatore, e i rombi tonanti degli incantesimi che si scagliavano sulle guardie nemiche, che urlavano di dolore.
Almeridian fece già per andare alla porta, tirandomi per un braccio, ma lo fermai: -Aspetta amico mio, non posso ancora andarmene di qui!-
Almeridian restò abbastanza sorpreso nell'udirmi proferire quelle parole, poi seguendo il mio sguardo, vide che mi riferivo a Djazel, il mio compagno di cella.
-Libera anche lui! Non è ciò che sembra.-
Almeridian obbedì, seppur dimostrando non poche riserve. Dopotutto quello che stava liberando era un rakshasa, uno degli esseri più empi del creato, la cui malvagità era superata solo da quella dei principi dei demoni.
Forse però anche Almeridian sentì che l'animo di quel rakshasa era mutato. Aveva rinnegato le sue origini e lo stile di vita dei suoi pari, e non meritava di marcire in queste segrete alla mercèe dei signori abissali.
Non appena Djazel fu libero, mi gettai su di un mucchio di pietre, per cercare quella roccia nera misteriosa. -Un'ultima cosa, devo assolutamente trovare quella pietra- Almeridian, visibilmente spazientito, non capì, ma non poteva fare altro che aspettarmi.
Raccolsi la pietra, ma mi resi conto che non avevo dove metterla.
Mi concentrai, immaginai un vestito regale, di quelli che indossavo alla Corte delle Stelle, un vestito di seta pregiata, che accarezzasse la mia pelle, con degli stivali di pelle comodissimi, che non mi facessero sentire le rocce aguzze che in questi anni avevano devastato i miei piedi.
Fu un lampo, non appena immaginai me stesso avvolto in quei vestiti lussuosi, essi apparvero su di me. Era una sensazione fantastica. I miei poteri erano tornati, la maledizione di quelle catene era finalmente stata spezzata.
Misi la pietra in tasca, e vestii di tutto punto anche il mio compagno Djazel.
Almeridian sorrise, credo che fosse contento di vedere che i miei poteri erano tornati, e non sarei stato un peso morto. Di lì a poco infatti sarebbero arrivate non solo le guardie delle segrete, ma anche Gallaron e il suo seguito di guardie personali.
-Presto, prendi questa- Si rivolse a me Almeridian, porgendomi una scimitarra.
-Vedo che ti ricordi quale tipo di arma prediligo usare- Dissi io prendendo la scimitarra in mano e cominciando a giocherellarci un pò per capire di che fattura fosse.
-La tua fama ti precede Shariell- Disse sorridendo Almeridian. Ma non potei fare a meno di pensare che fosse una risposta di cortesia, e dentro di sè pensasse che più che famoso, io fossi famigerato. Tuttavia apprezzai la cortesia che mi usò non facendomi pesare il mio passato in quelle parole.
Ricambiai il suo sorriso, e con fare scherzoso gli dissi: -Si, il tipo d'arma è giusto, hai buona memoria... ma ti sei scordato un piccolo particolare...- E mentre lo dicevo, mi concentrai di nuovo per un istante, e dalla mia mano scaturì un vortice di scintille argentate che ruotava attorno ad una luce abbagliante, uno spettacolo pirotecnico di luci e nebbie, che culminò nella creazione di una sagoma di luce dalla forma di scimitarra, che emanava luce propria e fluiva continuamente come un vento di tempesta che trascinava con se le scintille argentate.
Almeridian guardò la mia arma con fare compiaciuto e disse -Se è efficace quanto bella, farai bene ad usarla subito, Vhaster là fuori non potrà tenere testa da solo a tutto l'esercito ancora a lungo-

Un vero amico

Passarono i mesi, e poi gli anni, tra torture e pensieri.
Io e Djazel ci eravamo conosciuti meglio, ora conoscevo gran parte della sua storia, le sue battaglie combattute in Acheronte, il nobile lignaggio della sua famiglia tra i malvagi rakshasa, e soprattutto il motivo per cui aveva quell'aspetto:
egli era stato utilizzato dai Tanar'ri come cavia per un esperimento, o meglio, una serie di esperimenti, di negromanzia e trasmutazione.
In nome e per conto di chi fossero stati portati avanti quegli esperimenti non era noto nemmeno al mio compagno di cella, ma sapeva che in qualche modo, Orcus era coinvolto:
la sua profonda esperienza nella necromanzia era servita ad instillare in lui il germe del vampirismo, senza tuttavia fare di lui un vero e proprio non morto.
A volte quando ascoltavo i racconti di Djazel, rabbrividivo al pensiero di ciò che potesse avere in serbo Orcus tra le sue schiere di demoni e non morti, se questo suo esperimento avesse avuto in questi anni una continuazione.
Tuttavia, riflettendo, mi dissi che era probabile che Djazel potesse essere l'unico esemplare riuscito di quel laboratorio demoniaco, e questo poteva plausibilmente essere il motivo per cui veniva tenuto ancora in vita, nonostante si fosse ribellato alle schiere di demoni che speravano di annoverarlo tra loro nelle prime linee della Guerra Sanguinosa.

Mi chiedevo anche come mai sarebbe stato Djazel se lo avessi conosciuto fuori da qui.
Per nostra natura saremmo stati certamente nemici, eppure questa situazione paradossale ci aveva uniti. Sentivo che dentro di lui il male andava scemando, e giorno dopo giorno si stava avvicinando ad una neutralità interiore che gli consentiva di comprendere un pò meglio i miei pensieri.
Per tutto il tempo che passammo insieme, io evitai sempre di parlare della storia del mio nome e della mia caduta dalle grazie dei cieli, ma parlavo invece con gioia del posto da cui venivo, Arborea, delle feste che vi si tenevano, delle personalità che vi si incontravano, della musica che si poteva udire ovunque, e descrivevo queste cose con una tale ricchezza di dettagli, che Djazel mi assicurava, sorridendo compiaciuto, che riusciva quasi a vederla come se fosse stato lì.

Lentamente, Djazel stava acquistando fede in un nuovo sistema di vita, quello predicato dagli elfi planari di Arborea, di cui ero ero un antico campione. Non so quando decise che questo stile di vita fosse adatto a lui, nè il perchè. A dire il vero non so nemmeno se questo interessamento fosse dovuto ad un reale convincimento, o alla voglia di assecondarmi ed immergersi per qualche istanti nei miei racconti, come se volesse evadere per qualche minuto da quella cella buia e stantia, impregnata dell'odore del nostro sangue raffermo.

Mi disse un giorno, che se gli Dei di Arborea ci avessero fatti uscire di lì, gli sarebbe piaciuto venire con me nella mia casa, e cercare un posto in cui rifarsi una vita in quel paradiso selvaggio di foreste, feste, passioni e magia.

Antichi retaggi

Dopo due mesi passati a studiarci, io e il mio compagno di cella ci rivolgemmo parola per la prima volta. Fu lui a fare la prima mossa, in un momento in cui eravamo soli, con un commento sulla mia stirpe:
-Come mai i tuoi compagni dei Piano Superiori non hanno ancora organizzato una crociata per salvarti? Mi sembri un nobile della tua razza, dovresti avere un certo seguito di sottoposti nel posto da cui vieni, non posso credere che non abbiano notato la tua assenza...-

Le sue parole suonavano di un tono che sapeva allo stesso tempo di curiosità e di scherno, ma non le presi come una provocazione, infondo anche io dentro di me mi ero posto in altri termini lo stesso quesito.

-Vedi- risposi -Lassù forse hanno deciso che questo è il destino più nobile di cui sono degno. Il mio sacrificio consentirà di seppellire per sempree ciò che io rappresento.-

Il mio compagno non sapeva nulla del mio passato, non conosceva l'onta di disonore che mi portavo dentro. Al suo posto, probabilmente, avrei posto la stessa domanda.

-Allora siamo sulla stessa barca amico mio, nemmeno io ho santi in paradiso, e nessuno verrà qui a reclamare la mia libertà- Continuò lui -E dire che anch'io, da dove vengo, sono considerato importante, e il mio nome causa brividi di terrore lungo le schiene sia dei miei nemici che dei miei alleati. Mio padre dovrebbe essere fiero di me.-

Dopo qualche istante di silenzio, riprese subito il discorso: -Scusa la mia maleducazione, tu sei un nobile e conoscerai l'importanza dell'etichetta... non mi sono ancora presentato, il mio nome è Djazel Rasheem VII-

Cortesemente feci per fare un inchino scherzoso, intuendo il retaggio regale del mio interlocutore, ma le manette che mi tenevano attaccato alla parete mi impedirono di flettermi abbastanza: -Il mio nome invece è Shariell, Portatore di Luce di Arborea- Dissi quasi ridendo di me -O almeno, questo è il nome che mi è stato dato da chi mi ha inviato qua.-

Djazel incalzò immediatamente con una domanda -E di quale nome o titolo ti fregiavi prima di essere inviato qua?-
Risposi a voce bassa, e senza guardarlo mai negli occhi: -Il mio nome giace sepolto assieme al mio onore, che persi tanti secoli fà. Nessuno lo pronuncerà mai più finchè non monderò me stesso dai peccati che ho commesso. Il mio nome, e quello di tutti gli altri che come me sono stati cancellati dalla storia, non è più nei ricordi di nessuno, nemmeno nei miei-

-Sei un tipo strano Shariell Portatore di Luce- Disse Djazel, iniziando già a ridere presagendo quella che sarebbe stata la mia risposta: -Detto da te, un rakshasa avvolto nell'ombra e con ali da pipistrello, lo prendo come un complimento amico mio!-

Distrazione

Le pietre dell'aguzzino sembrano delle carezze ora che Gallaron non c'è più.
Mi viene voglia di ridergli in faccia, ma devo trattenermi, oppure comincerà a lanciarle con più forza, e il mio nuovo compagno di cella potrebbe non gradire. Un amico potente qui dentro vale quanto la chiave di queste manette, e lui sembra esserlo... se si è scomodato Gallaron in persona per accoglierlo qua, sicuramente lo è.
Fino ad ora, la mia unica amica, è stata una pietra.. si una pietra nera, nera come il carbone, di quelle che l'aguzzino mi lancia ogni giorno addosso.

Non so perchè, ma questa pietra non mi colpisce mai, è come se si fermasse ad un soffio da me, un'istante prima di colpirmi si ferma, e cade a terra sanguinando al posto mio, dando l'ullusione al mio aguzzino di avermi ferito.
Non so se sia un delirio provocato dal dolore che provo, ma certe notti ho quasi l'impressione di sentirla sussurrare qualcosa, anche se non comprendo la lingua in cui si esprime.
Strano, molto strano davvero, di solito capisco alla perfezione ogni sorta di linguaggio, e riesco a comunicare anche con quelle creature che a malapena riescono ad articolare qualche frase.
Forse quei sussurri sono solo nella mia testa, forse le altre pietre che mi hanno colpito in faccia ogni giorno hanno instillato il germe della pazzia dentro di me, che ora sboccia come un fiore a primavera e mi suggerisce quest'idea.

Eppure la natura di quella pietra è strana, l'ho analizzata tempo fa, ho cercato di capire se fosse magica, e per un istante ho percepito una debole aura di magia in lei, ma è subito svanita, non rivelandosi mai più.
Forse è meglio così, il mistero di questa pietra mi aiuta a tenere occupata la mente, ed è l'unica distrazione che ho.

martedì, maggio 23, 2006

Ribelle

-"Djazel!- esclamò Gallaron compiaciuto -Quasi non ci credevo che fossi davvero tu... e invece, finalmente, sei nelle mie mani! Il mio signore sarà lieto di apprendere questa notizia, sono sicuro che proverà un piacere squisito nel saperti qui alla sua corte a versare lacrime e sangue nelle sue segrete!-
Gallaron era un demone molto singolare: benchè nell'aspetto fosse oscenamente sformato, e i suoi tratti fossero bestiali, quasi suini, il linguaggio che adoperava era forbito, e se non fosse per le flatulenze involontarie che il suo corpo depravato emetteva, lo si sarebbe potuto confondere con un nobiluomo sentendolo soltanto parlare.

D'un tratto, il mio nuovo compagno di cella si mise a ringhiare, e poi con voce arrogante si rivolse a Gallaron: -"Bastardo! Pagherai tutto con gli interessi, te lo giuro! Mangerò il tuo cuore e quello del tuo signore, e prima ancora che tu possa capire cosa stia succedendo, sarai ridotto a brandelli!"- mentre urlava queste parole intrise d'odio, cercava di gesticolare veementementee, ma le catene che lo legavano al muro gli impedivano di utilizzare le braccia, creando però in compenso un sinistro tintinnio metallico che dava un tono solenne a quella maledizionee.

Gallaron non si fece affatto intimidire, rise di gusto, poi raccolse delle pesanti pietre da terra, ed iniziò a lapidarlo. Ogni tanto, divertito, fingeva di sbagliare mira e colpiva me.
Dopo mezz'ora di questo giochetto, si stancò, e con una fragorosa risata ci volse le spalle, andando verso la porta, al di là della quale lo aspettava uno degli aguzzini addetti a questa zona delle segrete, che avrebbe continuato il suo lavoro.

lunedì, maggio 22, 2006

Compagni di cella

Un clack metallico rimbomba dentro di me, il rumore non è forte, ma ormai suona come un allarme. Riconosco quel modo di girare le chiavi, quel modo strafottente di aprire le porte, è Gallaron, il carnefice di Pandemonio, il demone che sembra aver votato la sua vita al dolore. Al dolore altrui ovviamente.

Non posso fare a meno di svegliarmi, un brivido corre già lungo la mia schiena. Di solito Gallaron non si sporca le mani con me, in tutti questi anni non l'ho visto che un paio di volte, per mia fortuna. Oggi è qui però, e ad ogni passo che fa sento che la mia ora potrebbe essere giunta.
Devo calmarmi... devo essere freddo... infondo, se mi ucciderà, avrò ottenuto il mio scopo. Non ho nulla da temere.
Ma Gallaron non mi ucciderà... ci gode troppo ad infliggere dolore, e sa fin troppo bene che la morte è una liberazione. In tanti, troppi, hanno invocato la morte e la sua pietà, ma Gallaron sa come tenere in vita un prigioniero, e non perde mai occasione per dimostrare la sua perizia nella tortura.

Apro gli occhi, lo guardo, cerco i suoi occhi in segno di sfida, la sua mole si para dinnanzi a me in tutta la sua oscena maestà, la sua enorme pancia sudata è ancora sporca del sangue di chissà quale vittima, le sue minuscole ali rattrappite si agitano tradendo la sua eccitazione per quello che sta per fare, e dalla sua bocca suina scaturiscono versi simili a flatulenze.
E' davvero una creatura orribile, il suo aspetto rispecchia perfettamente il suo animo.
Gallaron mi getta un'occhiata sprezzante, e credo che accenni un sorriso, anche se la sua dentatura ritorta non mi permette di capire se davvero sia un sorriso o sia soltanto una smorfia.
Poco importa. Tra qualche istante, sapere se Gallaron è divertito sarà l'ultimo dei miei problemi.

Ma... che succede? I suoi passi non vengono nella mia direzione.
Ero talmente spaventato e convinto di essere io la sua vittima, che non badai nemmeno per un istante al nuovo compagno di cella che avevo poco distante a me.
Anche lui era incatenato al muro, e portava sul suo corpo i segni di una recente tortura.
Era da lui che proveniva quell'odore intenso di zolfo che avevo avvertito distintamente poco prima.
Quella puzza infernale tradiva il suo retaggio immondo. Come mai era qui dunque? Era forse un traditore? Sarebbe stato punito per cosa poi? Di solito i demoni risolvono le loro questioni con una antica e semplicissima regola: chi non muore, ha ragione.
Eppure era stato incarcerato, e Gallaron in persone era venuto a "fargli visita".
Capii che doveva trattarsi di qualcuno di importante.

Effettivamente il suo aspetto era alquanto singolare, riuscivo a distinguere le sue forme a malapena, il suo volto mi sembrava quello di una tigre con due piccole corna, ma dietro la schiena aveva un paio di grosse ali membranose. Non riuscivo a capire se fosse nudo come me o se indossasse qualcosa, era come se avesse una foschia nera che lo avvolgeva, ma non potei fare a meno di notare le sue mani in catene... i palmi di quelle mani erano rovesciati, come quelli delle mani dei malefici signori occulti dell'oriente.

martedì, maggio 16, 2006

La nuova alba

-"C'è odore di zolfo attorno a me... strano, si solito questa buia topaia puzza solo di sangue e di vomito.
Non ho voglia di aprire gli occhi, stavo quasi riuscendo a dormire e non mi capitava da mesi, la mia stanchezza supera la mia curiosità.
Forse è cambiato aguzzino, forse a questo nuovo piace divertirsi col fuoco invece che con le pietre... o forse no.
Non ho voglia di svegliarmi, non ho voglia di sapere, voglio solo dormire... dormire in eterno, e lasciare che altri prendano il posto che per tanto tempo ho occupato in questo mondo.
Tanto tempo si... troppo tempo.
La mia ora era già scoccata molto tempo fa, la mia presenza qui oggi può già ritenersi paradossale, un triste scherzo del destino. Io esisto, esisto ancora, mentre di chi era con me è stata cancellata anche la memoria. Questo pensiero mi tormenta, e mi fa male, ben più delle torture del loro aguzzino.
Voglio dormire, dormire ancora, dormire anche mentre eseguono le loro torture. Voglio smettere di urlare, sono stanco di dargli soddisfazioni.
Voglio rovinare il loro giocattolo, non emetterò più un fiato."-