Averann

A cavallo tra sogni e magia...

Nome:
Località: Fano, PU, Italy

Faccio click su strane cose, che registrano strane immagini.

martedì, giugno 06, 2006

Confidenze [provvisorio]

Prendemmo fiato, i nostri cuori smisero di battere per un istante. Non dimenticherò mai quella sensazione di terrore che provai uscendo fuori dalla mia prigione.
Non c'era nessuno ad aspettarci, ce l'avevamo fatta. Il Fato si dimostrò amico in quell'occasione, ma ci rendemmo subito conto che non era il caso di stare lì a compiacerci.
Senza dire una parola, iniziammo la nostra corsa.
Le lande putrescenti di Tanathos erano ancora più opprimenti della prigione che avevo lasciato, ma erano l'unica via che ci avrebbe portati alla salvezza.
Dovevamo percorrere qualche kilometro a piedi, senza poter attivare alcuno dei nostri poteri magici, altrimenti Orcus ci avrebbe scoperto. In questo luogo, lui è un dio. In questo luogo, lui è il demiurgo. Questo posto è frutto del suo immaginario più intimo e perverso... Orcus di fatto è Tanathos, e Tanathos in quanto manifestazione del suo pensiero, è Orcus.
Prestammo attenzione, corremmo via con la grazia di felini in caccia, attenti a non spostare nemmeno una roccia, a non calpestare nemmeno una pozzanghera.
Non bastò.
Il silenzio dei nostri passi venne squarciato da un tuono imponente, una montagna si spacco davanti a noi, cademmo a terra tramortiti da parole la cui blasfemia è tale da non poter essere messa per iscritto neppure dai demoni.
Era lui. Ci aveva trovati... forse aveva sempre saputo dove fossimo e cosa stessimo cercando di fare... giocava con noi, come il gatto col topo.
Almeridian urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, non so se per la paura o solo per incitare la sua furia... probabilmente per tutte e due le cose, ma non appena la furia del berserk si impadronì di lui, spiegò le ali e si scagliò contro Orcus, sprezzante del pericolo che correva.
Vhaster pronunciò immediatamente una delle sue formule, e divenne etereo, come i fantasmi.
Strana scelta a ben pensarci, visto che ci trovavamo nel regno dei non morti e gli spettri e i fantasmi di sicuro sarebbero abbondati di lì a poco.
Djazel scomparve, nascosto tra le ombre.
-Devo intervenire anch'io- pensai tra mè -non posso accettare che altre creature paghino il fio delle mie colpe, e periscano per causa mia-.
Mi concentrai un'istante, il mondo sembrò procedere al rallentatore intorno a me, avevo piegato il tempo... era una cosa che non riuscivo più a fare da moltissimi anni, ma ora, forse grazie all'adrenalina che mi scorreva in corpo per la paura, mi veniva naturale.
- Gli Eladrin, la mia razza, sono la fonte dei miei poteri. Tra gli angeli noi Eladrin siamo la stirpe che più è in sintonia con i segreti della natura e della magia. I signori delle fate, gli antenati degli Elfi, gli angeli vagabondi, i paladini erranti del bene, tanti sono i nomi con cui i mortali ci identificano. Non si sbagliano.. noi siamo davvero tutto questo... ed io ne sono orgoglioso. Voglio tornare a poterlo dire a testa alta- mentre pensavo queste cose, senza accorgermi le dissi ad alta voce, poi anch'io recitai le mie formule, e attorno ai miei compagni comparve un cerchio di luce celeste, un'interdizione che li avrebbe parzialmente protetti dai poteri di Orcus.
Mi voltai verso Djazel, ma non lo vidi. Ricordai in quel momento quanto egli fosse affine alle ombre, e come in esse si trovasse a suo agio. Mi sovvenne pure il fatto che l'interdizione che avevo lanciato era troppo debole per avere effetto su di lui... la sua stirpe, i Rakshasa, non può essere influenzata che dalle magie più potenti esistenti in questo mondo, dai pinnacoli della conoscienza delle Alte Scuole di Magia... tutto ciò che è sotto, non è sufficiente ad influenzarlo, e scorre via come pioggia sul metallo, senza riuscire a permearlo col suo potere.
La piega che avevo effettuato nel tempo stava ormai per esaurirsi, lo sentivo. Prima che ciò accadesse, riuscii a lanciare il mio ultimo incantesimo, ed aumentai la velocità di tutti noi, chiedendo un'intercessione agli dei, così che anche Djazel potesse goderne.
Il miracolo mi fu concesso. E questo fu certamente determinante.
Attorno ad Orcus apparvero due dei demoni più atrocemente malavagi e selvaggiamente potenti dell'Abisso.
Avevano ali avvolte dalle fiamme, i loro volti sembravano quelli di un minotauro corrotto dalle blasfemie dell'Abisso. In mano imbracciavano delle spade e delle fruste composte da lingue di fiamme. Le impronte dei loro passi lasciavano a terra fiamme blasfeme che sembravano urlare come i prigionieri straziati nella prigione da cui stavo scappando.
Balor. Questo era il nome di quella stirpe di demoni.
I Balor erano i signori dell'Abisso, incontrastati per forza e malvagità. Forse la creatura più forte di tutti i piani in uno scontro faccia a faccia.
Eppure, di fronte ad Orcus, anche loro tremavano, ed eseguivano i suoi ordini alla lettera.
Sembrò passare un'eternità, invece non erano passati che pochi istanti.
Almeridian cercò di colpire Orcus, ma egli scomparve per riapparire alle nostre spalle.
- Via di qui! non abbiamo scampo in uno scontro aperto qui a Thanatos!- Gridò Vhaster.
Djazel riapparse dalle ombre una trentina di metri davanti a noi, alle spalle di uno dei Balor. Lo colpì di nascosto, e il demone emise un ruggito di dolore e di collera feroce. Rispose all'attacco di Djazel con una sfezata della sua spada. Mirò al collo di Djazel, e per poco non lo recise. Seppur fatte di fiamme, le loro spade sono in grado di mozzar la testa di una creatura con un sol colpo.
- Ho visto abbastanza, concordo col mago! via di qui!- Esclamò Djazel mentre con un'acrobazia schivava il fendente mortale del Balor -Non c'è disonore a riportare a casa la pelle- disse ancora -ma chi può tirarci fuori da qui?-
In quel momento, gli occhi di Almeridian si rilassarono, e pochi secondi dopo, anche il suo corpo lo fece, così come l'espressione del suo viso. La furia del Berserk l'aveva abbandonato, era di nuovo lucido, e prese in mano la situazione.
Portò una mano al medaglione che portava al collo, mostrandolo come un amuleto, e formulando una parola magica che ne attivò il potere


.........




-"Perchè combatti?"- Mi chiese Djazel

-"Io? Io combatto per Regina Morwell, per Corte delle Stelle, combatto per le foreste di Arborea e per i Gitani viaggiatori, combatto per le carezze delle nuvole, per i segreti che custodisce il cielo stellato delle notti di estate, per chi trova i giusti principi morali dentro di sè, per chi da valore a una preghiera e per chi ha negli occhi il tramonto e nella testa una nuova alba di speranza. Per questo combatto."-

Ma quello era vero solo in parte. Dentro di me lo sapevo. Quella risposta l'avrei data migliaia di anni prima, gonfiando il petto e recitando ogni parola come una poesia, ora invece la ripetevo sottovoce, meccanicamente, quasi alla stessa maniera di come sferravo i miei colpi.
Portavo dentro di me la vergogna, il disonore, il peso di una vita corrotta, che mi aveva reso simile a quei demoni i cui cadaveri si ammucchiavano sotto i nostri piedi.
Ora a tutti quei motivi, scolpiti dentro di me come un'epitaffio su di una lapide, se ne erano affiancati altri due, più vicini a me, più egoistici ma al tempo stesso altrettanto nobili: il riscatto del mio nome, e il desiderio di risarcire il male che avevo fatto.

domenica, giugno 04, 2006

Battaglia per la fuga

-"Forza, non state lì impalati, ne arrivano sempre di più!"- Tuonò la voce di Vhaster.
Era incredibile come quelle parole stizzite stridessero col suo aspetto serafico.
Il suo torso, perfettamente proporzionato e scolpito, era liscio come la seta, la sua pelle chiara e delicata. Dalla sua schiena spuntava un enorme paio d'ali piumate dai colori dell'arcobaleno, e il suo corpo dalla vita in giu diventava una lunga coda rettiliforme, almeno 3 metri di spire, che terminavano con un pennacchio di piume colorate come le sue ali.
Vhaster muoveva la coda come se stesse danzando, ogni suo movimento era intriso di una leggiadria paradisiaca, ed ogni gesto con cui lanciava i suoi incantesimi era una poesia di movimenti aggraziati e dolcissimi.
Non uno dei suoi bianchi capelli era fuori posto, nonostante la concitazione della battaglia e la terribile violenza delle energie che controllava.
Il suo aspetto ambiguo, a cavallo tra quello di un angelo e di un serpente, aveva un fascino ipnotico.

Gli echi delle esplosioni e gli sproloqui dei demoni mi risvegliarono da quel momento di torpore affascinato in cui caddi guardando Vhaster all'opera, giusto il tempo di focalizzare in me l'idea della battaglia, e tutto poi accadde come meccanicamente.
Angeli... celestiali... araldi del bene.... tanti sono i nomi con cui i mortali ci conoscono... ma in quel momento, di fronte al nemico, eravamo perfette macchine di morte.
Almeridian tirò fuori tutta la sua voce, e urlò un grido di battaglia maestoso che terrificò i demoni nemici. Si lasciò andare ad una furia inarrestabile, il suo viso e la sua espressione si deformarono fin quasi a perdere apparentemente i loro tratti celestiali, ma guardandolo attentamente, quella che dapprima mi parve una smorfia di rabbia mi sembrò un sorriso scomposto, come se l'impeto del combattimento che si impadroniva di lui lo divertisse e lo rendesse fiero. A ben vedere, i suoi colpi continuavano ad essere precisi, e i suoi attacchi benchè in preda ad un furore cieco, non erano casuali o portati alla rinfusa.
Sembrava che Almeridian riuscisse, a differenza dei barbari mortali, ad elevare il suo impeto guerriero oltre l'ira barbarica, in una specie di ira illuminata, che ne ricalcava le mosse ma non la cieca disperazione.

Senza quasi rendermene conto, mentre ancora osservavo con ammirazione il valore in battaglia di Almeridian, entrai anch'io nella mischia. E ci entrai alla mia maniera.
Come eladrin superiore, potevo spostarmi senza camminare, piombare alle spalle dei miei nemici senza dover fare una mossa, semplicemente desiderando di farlo. Da quando Almeridian mi aveva liberato di quelle catene e della loro maledizione, non avevo mai smesso di percepire i miei poteri che stavano fluendo di nuovo dentro di me, con l'impeto di un fiume in piena che fa fatica a scorrere tra gli argini.
Entrambe le mie scimitarre volteggiavano in aria, dilaniando le carni dei demoni nostri nemici. Come un tornado di lame apparivo dietro di loro quando meno se lo aspettavano, e in una manciata di secondi, le loro teste rotolavano a terra.
A nulla servivano la loro pelle coriacea e le loro armature contro la mia lama di luce celestiale: non importa che fossero fatte d'ossa delle loro vittime o di nobile adamantio, l'energia che scaturiva dalle mie mani superava ogni barriera, e trafiggeva le loro carni inesorabilmente.
Ero come in trance, nella mia mente balenavano flash della mia vita passata, di quando assieme agli altri celestiali difesi i cancelli di Arborea e la Cittadella Empirea sul Primo Materiale, e di quando infine la luce della mia spada si spense, divenendo nera come la pece.
Tutti quei ricordi... ogni mio singolo movimento mi riportava alla mente un'avventura passata, eppure non ero affatto distratto. Ero preciso come i figli degli ingranaggi di Meccanus, ogni mio colpo andava inesorabilmente a segno.

Con la coda dell'occhio scorsi Vhaster, aveva rallentato il ritmo con cui lanciava i suoi incantesimi.
Credo lo avesse fatto perchè guardava me, e rimase stupido nel vedermi così terribilmente freddo e risoluto in battaglia contro i nostri nemici. Credo che in quel momento comprese il motivo per cui molti di quelli che un tempo furono nostri compagni, ora mi temevano.
Vhaster era a conoscenza delle vicende della "Caduta", e sapeva della damnatio memoriae caduta su tutti noi che difendemmo la Cittadella Empirea millenni prima, nel giorno in cui l'Abisso mise in scacco i Piano Superiori.
Ero uno dei campioni della mia gente, ero motivo di vanto per la Corte delle Stelle. Divenni l'onta di disonore della Regina e dei miei compagni tutti.
Ora ero qui però, se erano venuti a salvarmi, significa che qualcuno lassù voleva offrirmi un'altra possibilità.
Ero curioso di sapere chi fosse.
Che fosse la Regina in persona? O Vaeros, suo sposo e mio antico mentore? O forse era una richiesta del Consiglio che mi rivoleva a sedere al mio posto d'onore? No... pensai che con tutta probabilità nessuno di loro volesse ricordare ancora una volta cos'era successo.
Forse, era il Tribunale Celeste che mi cercava, per evitare che le informazioni in mio possesso cadessero in mano di un Principe dei Demoni come Orcus.

Mi persi in simili ragionamenti per un tempo che non saprei stimare, la mia mente si scisse per tutta la durata del combattimento, finchè intorno a noi gli unici demoni rimasti erano i demoni morti che calpestavamo.
Credo che fui l'ultimo a smettere di combattere, ricordo che il viso di Almeridian era già tornato serio e composto quando io mi resi conto della situazione, segno che il suo impeto guerriero era già cessato.

-"Sei un guerriero abile, meriti il mio rispetto"- Mi disse Almeridian con voce allo stesso tempo decisa e compiaciuta.
-"Grazie"- Mi limitai a rispondere, nascondendo l'orgoglio che quelle parole dell'ex generale degli Aasimon su Arborea avevano suscitato in me.
Vhaster annuì, e si lascio scappare un timido sorriso. Credo avesse capito che le parole di Almeridian mi avessero toccato, un mago del suo rango coglie facilmente certi dettagli.

-"A dopo i convenevoli, siete stati tutti molto bravi è vero, ma tra poco l'Abisso vomiterà qui dentro una legione di demoni se non ce ne andiamo!"
Era la voce di Djazel.
Le sue fauci e i suoi artigli erano sporchi del sangue nero dei demoni, doveva aver combattuto, e doveva essersi battuto bene visto che non aveva neppure una piccola cicatrice su di sè.
Non lo avevo notato per niente prima durante il combattimento. Non ebbi tempo per chiedere ai miei compagni o a lui di persona contro chi si fosse battuto. Doveva essere stato velocissimo, oppure avere agito di nascosto. Guardandolo bene, capii che quell'ombra che lo avvolgeva era più che un semplice indizio per trovare la risposta a questa mia curiosità.

Ci muovemmo tutti insieme, ognuno di noi controllava una direzione diversa. Sembravamo una squadra, anzi, eravamo una squadra, e tutti muovevamo i nostri passi verso la libertà, più lontano possibile da quel luogo maledetto dove tanta parte della mia vita mio malgrado dovetti passare.
Vhaster aveva ormai esaurito le forze per lanciare altri incantesimi abbastanza potenti per portarci tutti fuori, io non potevo usare il mio potere di teletrasporto su altre creature, e purtroppo nè Almeridian nè Djazel avevano il potere di muoversi col pensiero come facevo io, nè con la magia come faceva Vhaster.
Attraversammo a piedi tutti i corridoi delle segrete. Io e Almeridian ci rendemmo invisbili e andammo in avanscoperta, Djazel si occultò confondendosi con le tenebre dei corridoi, e accolse nel suo manto d'ombre impenetrabili anche Vhaster.
Dopo qualche decina di minuti, vedemmo l'uscita.
Normalmente si è felici di uscire, di ritrovare la libertà, ma nessuno di noi sorrise. Là fuori non c'era ancora la libertà, là fuori c'era Thanatos, il regno di Orcuss.
Credo che tutti, quando aprimmo il cancello, tremammo per qualche istante al pensiero che al di là di quel cancello potesse esserci lui in persona ad attenderci.

Per nostra fortuna però, Orcus non era lì.

domenica, maggio 28, 2006

Vhaster

Vhaster... ecco dunque chi ci stava coprendo le spalle dietro a quel portone scardinato.
Vhaster è un Lillend, una creatura dei cieli devota all'arte e alla sua protezione, dotata di poteri simili a quelli dei cantastorie bardi, di cui sono i naturali ispiratori.
Egli però come arte scelse la magia, e divenne uno dei maghi più valenti di Arborea, probabilmente il più valente in assoluto, tanto da essere favorito da Noeptal in persona, la dea della Magia, che lo fece suo araldo personale, conferendogli la carica di Magister.
Quella di Magister è la massima carica cui può aspirare un incantatore di animo retto e ligio al dovere. La sua figura funge da modello per tutti gli altri incantatori, egli ha il compito di diffondere la magia e il suo uso nel mondo intero, vigilando sui modi in cui viene applicata, sui suoi abusi, e le sue perversioni.
Vhaster ricevette un enorme bagaglio di conoscenza e una benedizione personale di Noeptal che ne accrebbero ulteriormente i poteri, elevandolo ad un livello di conoscenza della magia che ben pochi altri nel Multiverso potevano vantare.
Ovviamente il rango di Magister portava con sè numerosi doveri e consegne, ma Vhaster era lieto di adempiere anche a questi, la sua sete di conoscenza e la sua voglia di lasciare un segno nell'Arte della magia, diffondendola nei più remoti angoli del Multiverso, erano tali da fargli vedere anche gli oneri associati alla carica come un privilegio.

sabato, maggio 27, 2006

Almeridian

Strano, oggi l'aguzzino sta tardando.
Di solito è puntualissimo, non vede l'ora di iniziare a lavorare. Prende molto sul serio il suo mestiere, e dalla sua espressione traspare una certa soddisfazione nell'effettuare ogni singolo gesto richiesto, quasi una sorta di celebrazione di un rituale.
Avverto dei rumori in lontananza, Djazel è già sveglio.
-Hai sentito anche tu?- Gli chiedo.
-Si, ormai è almeno mezz'ora che avverto questi rumori, ogni tanto. Sta sicuramente succedendo qualcosa di sopra!-

Si stava succedendo qualcosa, me lo sentivo dentro. Qualcosa di importante, qualcosa che avrebbe cambiato tutto di lì a poco.
Era una battaglia, ormai i rumori si facevano sempre più vicini, si distinguevano nitidamente il suono dell'acciaio che squarciava le armature e le esplosioni simili a fulmini che colpiscono il terreno.
-Forse quel bastardo ha avuto la lezione che merita!- Dissi ad alta voce.
Djazel capì subito a chi mi riferivo, e rise di gusto.

Qualche minuto dopo sentimmo delle voci poco distanti dalla porta:
-Deve essere qui dentro! Forza Almeridian!-
Almeridian... quel nome non mi era nuovo... mi sembrò che il tempo si fermasse, in un attimo affiorarono tanti ricordi nella mia mente.
Quel nome apparteneva ad un ex generale delle Armate Celesti, un Planetar, un guerriero nobile, un prode araldo dei cieli. Egli si era ritirato a vita privata, e aveva dimesso il suo battaglione dopo che questo fu decimato dalle schiere dei diavoli in una epica battaglia nella Gehenna.
Rinunciò ai suoi gradi e al suo ruolo di comandante, per intraprendere una crociata personale contro il maligno.
Almeridian non era un fine stratega, ma era un appassionato combattente. I suoi modi ricordavano quelli dei barbari del Primo Materiale, la sua furia indomita non lasciava scampo al nemico, e chiunque combattesse al suo fianco era affascianto dalla sua figura e dal suo ardore.

Dopo un paio di colpi violenti, la porta cadde, e dentro la cella entrò una luce celestiale, quasi accecante. All'interno di essa, un angelo dalla pelle color smeraldo, con delle ali piumate candide come la neve, e che imbracciava una spada troppo grossa per essere usata da qualsiasi uomo, ma che lui riusciva a manovrare alla perfezione, con precisione millimetrica.
L'aura di bontà che lo circondava, strideva con la malvagità che permeava ogni centimetro della terra che calpestavo. Si rivolse a me: -Shariell, è tempo di andare.- Non disse altro, e con un colpo deciso della sua spada spezzò le catene che mi tenevano prigioniero. Quelle catene erano intrise di potere maligno, su di essere erano incise parole scritte nella lingua oscura dei demoni, e pesavano su di me come il piede di un gigante su di una formica indifesa.
Non appena Almeridian le spezzò, sentii la mia forza fluire di nuovo dentro di me, era come se mi fossi riposato per interi mesi.

Fuori dalla porta intanto, si sentivano le formule recitata da un incantatore, e i rombi tonanti degli incantesimi che si scagliavano sulle guardie nemiche, che urlavano di dolore.
Almeridian fece già per andare alla porta, tirandomi per un braccio, ma lo fermai: -Aspetta amico mio, non posso ancora andarmene di qui!-
Almeridian restò abbastanza sorpreso nell'udirmi proferire quelle parole, poi seguendo il mio sguardo, vide che mi riferivo a Djazel, il mio compagno di cella.
-Libera anche lui! Non è ciò che sembra.-
Almeridian obbedì, seppur dimostrando non poche riserve. Dopotutto quello che stava liberando era un rakshasa, uno degli esseri più empi del creato, la cui malvagità era superata solo da quella dei principi dei demoni.
Forse però anche Almeridian sentì che l'animo di quel rakshasa era mutato. Aveva rinnegato le sue origini e lo stile di vita dei suoi pari, e non meritava di marcire in queste segrete alla mercèe dei signori abissali.
Non appena Djazel fu libero, mi gettai su di un mucchio di pietre, per cercare quella roccia nera misteriosa. -Un'ultima cosa, devo assolutamente trovare quella pietra- Almeridian, visibilmente spazientito, non capì, ma non poteva fare altro che aspettarmi.
Raccolsi la pietra, ma mi resi conto che non avevo dove metterla.
Mi concentrai, immaginai un vestito regale, di quelli che indossavo alla Corte delle Stelle, un vestito di seta pregiata, che accarezzasse la mia pelle, con degli stivali di pelle comodissimi, che non mi facessero sentire le rocce aguzze che in questi anni avevano devastato i miei piedi.
Fu un lampo, non appena immaginai me stesso avvolto in quei vestiti lussuosi, essi apparvero su di me. Era una sensazione fantastica. I miei poteri erano tornati, la maledizione di quelle catene era finalmente stata spezzata.
Misi la pietra in tasca, e vestii di tutto punto anche il mio compagno Djazel.
Almeridian sorrise, credo che fosse contento di vedere che i miei poteri erano tornati, e non sarei stato un peso morto. Di lì a poco infatti sarebbero arrivate non solo le guardie delle segrete, ma anche Gallaron e il suo seguito di guardie personali.
-Presto, prendi questa- Si rivolse a me Almeridian, porgendomi una scimitarra.
-Vedo che ti ricordi quale tipo di arma prediligo usare- Dissi io prendendo la scimitarra in mano e cominciando a giocherellarci un pò per capire di che fattura fosse.
-La tua fama ti precede Shariell- Disse sorridendo Almeridian. Ma non potei fare a meno di pensare che fosse una risposta di cortesia, e dentro di sè pensasse che più che famoso, io fossi famigerato. Tuttavia apprezzai la cortesia che mi usò non facendomi pesare il mio passato in quelle parole.
Ricambiai il suo sorriso, e con fare scherzoso gli dissi: -Si, il tipo d'arma è giusto, hai buona memoria... ma ti sei scordato un piccolo particolare...- E mentre lo dicevo, mi concentrai di nuovo per un istante, e dalla mia mano scaturì un vortice di scintille argentate che ruotava attorno ad una luce abbagliante, uno spettacolo pirotecnico di luci e nebbie, che culminò nella creazione di una sagoma di luce dalla forma di scimitarra, che emanava luce propria e fluiva continuamente come un vento di tempesta che trascinava con se le scintille argentate.
Almeridian guardò la mia arma con fare compiaciuto e disse -Se è efficace quanto bella, farai bene ad usarla subito, Vhaster là fuori non potrà tenere testa da solo a tutto l'esercito ancora a lungo-

Un vero amico

Passarono i mesi, e poi gli anni, tra torture e pensieri.
Io e Djazel ci eravamo conosciuti meglio, ora conoscevo gran parte della sua storia, le sue battaglie combattute in Acheronte, il nobile lignaggio della sua famiglia tra i malvagi rakshasa, e soprattutto il motivo per cui aveva quell'aspetto:
egli era stato utilizzato dai Tanar'ri come cavia per un esperimento, o meglio, una serie di esperimenti, di negromanzia e trasmutazione.
In nome e per conto di chi fossero stati portati avanti quegli esperimenti non era noto nemmeno al mio compagno di cella, ma sapeva che in qualche modo, Orcus era coinvolto:
la sua profonda esperienza nella necromanzia era servita ad instillare in lui il germe del vampirismo, senza tuttavia fare di lui un vero e proprio non morto.
A volte quando ascoltavo i racconti di Djazel, rabbrividivo al pensiero di ciò che potesse avere in serbo Orcus tra le sue schiere di demoni e non morti, se questo suo esperimento avesse avuto in questi anni una continuazione.
Tuttavia, riflettendo, mi dissi che era probabile che Djazel potesse essere l'unico esemplare riuscito di quel laboratorio demoniaco, e questo poteva plausibilmente essere il motivo per cui veniva tenuto ancora in vita, nonostante si fosse ribellato alle schiere di demoni che speravano di annoverarlo tra loro nelle prime linee della Guerra Sanguinosa.

Mi chiedevo anche come mai sarebbe stato Djazel se lo avessi conosciuto fuori da qui.
Per nostra natura saremmo stati certamente nemici, eppure questa situazione paradossale ci aveva uniti. Sentivo che dentro di lui il male andava scemando, e giorno dopo giorno si stava avvicinando ad una neutralità interiore che gli consentiva di comprendere un pò meglio i miei pensieri.
Per tutto il tempo che passammo insieme, io evitai sempre di parlare della storia del mio nome e della mia caduta dalle grazie dei cieli, ma parlavo invece con gioia del posto da cui venivo, Arborea, delle feste che vi si tenevano, delle personalità che vi si incontravano, della musica che si poteva udire ovunque, e descrivevo queste cose con una tale ricchezza di dettagli, che Djazel mi assicurava, sorridendo compiaciuto, che riusciva quasi a vederla come se fosse stato lì.

Lentamente, Djazel stava acquistando fede in un nuovo sistema di vita, quello predicato dagli elfi planari di Arborea, di cui ero ero un antico campione. Non so quando decise che questo stile di vita fosse adatto a lui, nè il perchè. A dire il vero non so nemmeno se questo interessamento fosse dovuto ad un reale convincimento, o alla voglia di assecondarmi ed immergersi per qualche istanti nei miei racconti, come se volesse evadere per qualche minuto da quella cella buia e stantia, impregnata dell'odore del nostro sangue raffermo.

Mi disse un giorno, che se gli Dei di Arborea ci avessero fatti uscire di lì, gli sarebbe piaciuto venire con me nella mia casa, e cercare un posto in cui rifarsi una vita in quel paradiso selvaggio di foreste, feste, passioni e magia.

Antichi retaggi

Dopo due mesi passati a studiarci, io e il mio compagno di cella ci rivolgemmo parola per la prima volta. Fu lui a fare la prima mossa, in un momento in cui eravamo soli, con un commento sulla mia stirpe:
-Come mai i tuoi compagni dei Piano Superiori non hanno ancora organizzato una crociata per salvarti? Mi sembri un nobile della tua razza, dovresti avere un certo seguito di sottoposti nel posto da cui vieni, non posso credere che non abbiano notato la tua assenza...-

Le sue parole suonavano di un tono che sapeva allo stesso tempo di curiosità e di scherno, ma non le presi come una provocazione, infondo anche io dentro di me mi ero posto in altri termini lo stesso quesito.

-Vedi- risposi -Lassù forse hanno deciso che questo è il destino più nobile di cui sono degno. Il mio sacrificio consentirà di seppellire per sempree ciò che io rappresento.-

Il mio compagno non sapeva nulla del mio passato, non conosceva l'onta di disonore che mi portavo dentro. Al suo posto, probabilmente, avrei posto la stessa domanda.

-Allora siamo sulla stessa barca amico mio, nemmeno io ho santi in paradiso, e nessuno verrà qui a reclamare la mia libertà- Continuò lui -E dire che anch'io, da dove vengo, sono considerato importante, e il mio nome causa brividi di terrore lungo le schiene sia dei miei nemici che dei miei alleati. Mio padre dovrebbe essere fiero di me.-

Dopo qualche istante di silenzio, riprese subito il discorso: -Scusa la mia maleducazione, tu sei un nobile e conoscerai l'importanza dell'etichetta... non mi sono ancora presentato, il mio nome è Djazel Rasheem VII-

Cortesemente feci per fare un inchino scherzoso, intuendo il retaggio regale del mio interlocutore, ma le manette che mi tenevano attaccato alla parete mi impedirono di flettermi abbastanza: -Il mio nome invece è Shariell, Portatore di Luce di Arborea- Dissi quasi ridendo di me -O almeno, questo è il nome che mi è stato dato da chi mi ha inviato qua.-

Djazel incalzò immediatamente con una domanda -E di quale nome o titolo ti fregiavi prima di essere inviato qua?-
Risposi a voce bassa, e senza guardarlo mai negli occhi: -Il mio nome giace sepolto assieme al mio onore, che persi tanti secoli fà. Nessuno lo pronuncerà mai più finchè non monderò me stesso dai peccati che ho commesso. Il mio nome, e quello di tutti gli altri che come me sono stati cancellati dalla storia, non è più nei ricordi di nessuno, nemmeno nei miei-

-Sei un tipo strano Shariell Portatore di Luce- Disse Djazel, iniziando già a ridere presagendo quella che sarebbe stata la mia risposta: -Detto da te, un rakshasa avvolto nell'ombra e con ali da pipistrello, lo prendo come un complimento amico mio!-

Distrazione

Le pietre dell'aguzzino sembrano delle carezze ora che Gallaron non c'è più.
Mi viene voglia di ridergli in faccia, ma devo trattenermi, oppure comincerà a lanciarle con più forza, e il mio nuovo compagno di cella potrebbe non gradire. Un amico potente qui dentro vale quanto la chiave di queste manette, e lui sembra esserlo... se si è scomodato Gallaron in persona per accoglierlo qua, sicuramente lo è.
Fino ad ora, la mia unica amica, è stata una pietra.. si una pietra nera, nera come il carbone, di quelle che l'aguzzino mi lancia ogni giorno addosso.

Non so perchè, ma questa pietra non mi colpisce mai, è come se si fermasse ad un soffio da me, un'istante prima di colpirmi si ferma, e cade a terra sanguinando al posto mio, dando l'ullusione al mio aguzzino di avermi ferito.
Non so se sia un delirio provocato dal dolore che provo, ma certe notti ho quasi l'impressione di sentirla sussurrare qualcosa, anche se non comprendo la lingua in cui si esprime.
Strano, molto strano davvero, di solito capisco alla perfezione ogni sorta di linguaggio, e riesco a comunicare anche con quelle creature che a malapena riescono ad articolare qualche frase.
Forse quei sussurri sono solo nella mia testa, forse le altre pietre che mi hanno colpito in faccia ogni giorno hanno instillato il germe della pazzia dentro di me, che ora sboccia come un fiore a primavera e mi suggerisce quest'idea.

Eppure la natura di quella pietra è strana, l'ho analizzata tempo fa, ho cercato di capire se fosse magica, e per un istante ho percepito una debole aura di magia in lei, ma è subito svanita, non rivelandosi mai più.
Forse è meglio così, il mistero di questa pietra mi aiuta a tenere occupata la mente, ed è l'unica distrazione che ho.

martedì, maggio 23, 2006

Ribelle

-"Djazel!- esclamò Gallaron compiaciuto -Quasi non ci credevo che fossi davvero tu... e invece, finalmente, sei nelle mie mani! Il mio signore sarà lieto di apprendere questa notizia, sono sicuro che proverà un piacere squisito nel saperti qui alla sua corte a versare lacrime e sangue nelle sue segrete!-
Gallaron era un demone molto singolare: benchè nell'aspetto fosse oscenamente sformato, e i suoi tratti fossero bestiali, quasi suini, il linguaggio che adoperava era forbito, e se non fosse per le flatulenze involontarie che il suo corpo depravato emetteva, lo si sarebbe potuto confondere con un nobiluomo sentendolo soltanto parlare.

D'un tratto, il mio nuovo compagno di cella si mise a ringhiare, e poi con voce arrogante si rivolse a Gallaron: -"Bastardo! Pagherai tutto con gli interessi, te lo giuro! Mangerò il tuo cuore e quello del tuo signore, e prima ancora che tu possa capire cosa stia succedendo, sarai ridotto a brandelli!"- mentre urlava queste parole intrise d'odio, cercava di gesticolare veementementee, ma le catene che lo legavano al muro gli impedivano di utilizzare le braccia, creando però in compenso un sinistro tintinnio metallico che dava un tono solenne a quella maledizionee.

Gallaron non si fece affatto intimidire, rise di gusto, poi raccolse delle pesanti pietre da terra, ed iniziò a lapidarlo. Ogni tanto, divertito, fingeva di sbagliare mira e colpiva me.
Dopo mezz'ora di questo giochetto, si stancò, e con una fragorosa risata ci volse le spalle, andando verso la porta, al di là della quale lo aspettava uno degli aguzzini addetti a questa zona delle segrete, che avrebbe continuato il suo lavoro.

lunedì, maggio 22, 2006

Compagni di cella

Un clack metallico rimbomba dentro di me, il rumore non è forte, ma ormai suona come un allarme. Riconosco quel modo di girare le chiavi, quel modo strafottente di aprire le porte, è Gallaron, il carnefice di Pandemonio, il demone che sembra aver votato la sua vita al dolore. Al dolore altrui ovviamente.

Non posso fare a meno di svegliarmi, un brivido corre già lungo la mia schiena. Di solito Gallaron non si sporca le mani con me, in tutti questi anni non l'ho visto che un paio di volte, per mia fortuna. Oggi è qui però, e ad ogni passo che fa sento che la mia ora potrebbe essere giunta.
Devo calmarmi... devo essere freddo... infondo, se mi ucciderà, avrò ottenuto il mio scopo. Non ho nulla da temere.
Ma Gallaron non mi ucciderà... ci gode troppo ad infliggere dolore, e sa fin troppo bene che la morte è una liberazione. In tanti, troppi, hanno invocato la morte e la sua pietà, ma Gallaron sa come tenere in vita un prigioniero, e non perde mai occasione per dimostrare la sua perizia nella tortura.

Apro gli occhi, lo guardo, cerco i suoi occhi in segno di sfida, la sua mole si para dinnanzi a me in tutta la sua oscena maestà, la sua enorme pancia sudata è ancora sporca del sangue di chissà quale vittima, le sue minuscole ali rattrappite si agitano tradendo la sua eccitazione per quello che sta per fare, e dalla sua bocca suina scaturiscono versi simili a flatulenze.
E' davvero una creatura orribile, il suo aspetto rispecchia perfettamente il suo animo.
Gallaron mi getta un'occhiata sprezzante, e credo che accenni un sorriso, anche se la sua dentatura ritorta non mi permette di capire se davvero sia un sorriso o sia soltanto una smorfia.
Poco importa. Tra qualche istante, sapere se Gallaron è divertito sarà l'ultimo dei miei problemi.

Ma... che succede? I suoi passi non vengono nella mia direzione.
Ero talmente spaventato e convinto di essere io la sua vittima, che non badai nemmeno per un istante al nuovo compagno di cella che avevo poco distante a me.
Anche lui era incatenato al muro, e portava sul suo corpo i segni di una recente tortura.
Era da lui che proveniva quell'odore intenso di zolfo che avevo avvertito distintamente poco prima.
Quella puzza infernale tradiva il suo retaggio immondo. Come mai era qui dunque? Era forse un traditore? Sarebbe stato punito per cosa poi? Di solito i demoni risolvono le loro questioni con una antica e semplicissima regola: chi non muore, ha ragione.
Eppure era stato incarcerato, e Gallaron in persone era venuto a "fargli visita".
Capii che doveva trattarsi di qualcuno di importante.

Effettivamente il suo aspetto era alquanto singolare, riuscivo a distinguere le sue forme a malapena, il suo volto mi sembrava quello di una tigre con due piccole corna, ma dietro la schiena aveva un paio di grosse ali membranose. Non riuscivo a capire se fosse nudo come me o se indossasse qualcosa, era come se avesse una foschia nera che lo avvolgeva, ma non potei fare a meno di notare le sue mani in catene... i palmi di quelle mani erano rovesciati, come quelli delle mani dei malefici signori occulti dell'oriente.

martedì, maggio 16, 2006

La nuova alba

-"C'è odore di zolfo attorno a me... strano, si solito questa buia topaia puzza solo di sangue e di vomito.
Non ho voglia di aprire gli occhi, stavo quasi riuscendo a dormire e non mi capitava da mesi, la mia stanchezza supera la mia curiosità.
Forse è cambiato aguzzino, forse a questo nuovo piace divertirsi col fuoco invece che con le pietre... o forse no.
Non ho voglia di svegliarmi, non ho voglia di sapere, voglio solo dormire... dormire in eterno, e lasciare che altri prendano il posto che per tanto tempo ho occupato in questo mondo.
Tanto tempo si... troppo tempo.
La mia ora era già scoccata molto tempo fa, la mia presenza qui oggi può già ritenersi paradossale, un triste scherzo del destino. Io esisto, esisto ancora, mentre di chi era con me è stata cancellata anche la memoria. Questo pensiero mi tormenta, e mi fa male, ben più delle torture del loro aguzzino.
Voglio dormire, dormire ancora, dormire anche mentre eseguono le loro torture. Voglio smettere di urlare, sono stanco di dargli soddisfazioni.
Voglio rovinare il loro giocattolo, non emetterò più un fiato."-