Averann

A cavallo tra sogni e magia...

Nome:
Località: Fano, PU, Italy

Faccio click su strane cose, che registrano strane immagini.

martedì, giugno 06, 2006

Confidenze [provvisorio]

Prendemmo fiato, i nostri cuori smisero di battere per un istante. Non dimenticherò mai quella sensazione di terrore che provai uscendo fuori dalla mia prigione.
Non c'era nessuno ad aspettarci, ce l'avevamo fatta. Il Fato si dimostrò amico in quell'occasione, ma ci rendemmo subito conto che non era il caso di stare lì a compiacerci.
Senza dire una parola, iniziammo la nostra corsa.
Le lande putrescenti di Tanathos erano ancora più opprimenti della prigione che avevo lasciato, ma erano l'unica via che ci avrebbe portati alla salvezza.
Dovevamo percorrere qualche kilometro a piedi, senza poter attivare alcuno dei nostri poteri magici, altrimenti Orcus ci avrebbe scoperto. In questo luogo, lui è un dio. In questo luogo, lui è il demiurgo. Questo posto è frutto del suo immaginario più intimo e perverso... Orcus di fatto è Tanathos, e Tanathos in quanto manifestazione del suo pensiero, è Orcus.
Prestammo attenzione, corremmo via con la grazia di felini in caccia, attenti a non spostare nemmeno una roccia, a non calpestare nemmeno una pozzanghera.
Non bastò.
Il silenzio dei nostri passi venne squarciato da un tuono imponente, una montagna si spacco davanti a noi, cademmo a terra tramortiti da parole la cui blasfemia è tale da non poter essere messa per iscritto neppure dai demoni.
Era lui. Ci aveva trovati... forse aveva sempre saputo dove fossimo e cosa stessimo cercando di fare... giocava con noi, come il gatto col topo.
Almeridian urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, non so se per la paura o solo per incitare la sua furia... probabilmente per tutte e due le cose, ma non appena la furia del berserk si impadronì di lui, spiegò le ali e si scagliò contro Orcus, sprezzante del pericolo che correva.
Vhaster pronunciò immediatamente una delle sue formule, e divenne etereo, come i fantasmi.
Strana scelta a ben pensarci, visto che ci trovavamo nel regno dei non morti e gli spettri e i fantasmi di sicuro sarebbero abbondati di lì a poco.
Djazel scomparve, nascosto tra le ombre.
-Devo intervenire anch'io- pensai tra mè -non posso accettare che altre creature paghino il fio delle mie colpe, e periscano per causa mia-.
Mi concentrai un'istante, il mondo sembrò procedere al rallentatore intorno a me, avevo piegato il tempo... era una cosa che non riuscivo più a fare da moltissimi anni, ma ora, forse grazie all'adrenalina che mi scorreva in corpo per la paura, mi veniva naturale.
- Gli Eladrin, la mia razza, sono la fonte dei miei poteri. Tra gli angeli noi Eladrin siamo la stirpe che più è in sintonia con i segreti della natura e della magia. I signori delle fate, gli antenati degli Elfi, gli angeli vagabondi, i paladini erranti del bene, tanti sono i nomi con cui i mortali ci identificano. Non si sbagliano.. noi siamo davvero tutto questo... ed io ne sono orgoglioso. Voglio tornare a poterlo dire a testa alta- mentre pensavo queste cose, senza accorgermi le dissi ad alta voce, poi anch'io recitai le mie formule, e attorno ai miei compagni comparve un cerchio di luce celeste, un'interdizione che li avrebbe parzialmente protetti dai poteri di Orcus.
Mi voltai verso Djazel, ma non lo vidi. Ricordai in quel momento quanto egli fosse affine alle ombre, e come in esse si trovasse a suo agio. Mi sovvenne pure il fatto che l'interdizione che avevo lanciato era troppo debole per avere effetto su di lui... la sua stirpe, i Rakshasa, non può essere influenzata che dalle magie più potenti esistenti in questo mondo, dai pinnacoli della conoscienza delle Alte Scuole di Magia... tutto ciò che è sotto, non è sufficiente ad influenzarlo, e scorre via come pioggia sul metallo, senza riuscire a permearlo col suo potere.
La piega che avevo effettuato nel tempo stava ormai per esaurirsi, lo sentivo. Prima che ciò accadesse, riuscii a lanciare il mio ultimo incantesimo, ed aumentai la velocità di tutti noi, chiedendo un'intercessione agli dei, così che anche Djazel potesse goderne.
Il miracolo mi fu concesso. E questo fu certamente determinante.
Attorno ad Orcus apparvero due dei demoni più atrocemente malavagi e selvaggiamente potenti dell'Abisso.
Avevano ali avvolte dalle fiamme, i loro volti sembravano quelli di un minotauro corrotto dalle blasfemie dell'Abisso. In mano imbracciavano delle spade e delle fruste composte da lingue di fiamme. Le impronte dei loro passi lasciavano a terra fiamme blasfeme che sembravano urlare come i prigionieri straziati nella prigione da cui stavo scappando.
Balor. Questo era il nome di quella stirpe di demoni.
I Balor erano i signori dell'Abisso, incontrastati per forza e malvagità. Forse la creatura più forte di tutti i piani in uno scontro faccia a faccia.
Eppure, di fronte ad Orcus, anche loro tremavano, ed eseguivano i suoi ordini alla lettera.
Sembrò passare un'eternità, invece non erano passati che pochi istanti.
Almeridian cercò di colpire Orcus, ma egli scomparve per riapparire alle nostre spalle.
- Via di qui! non abbiamo scampo in uno scontro aperto qui a Thanatos!- Gridò Vhaster.
Djazel riapparse dalle ombre una trentina di metri davanti a noi, alle spalle di uno dei Balor. Lo colpì di nascosto, e il demone emise un ruggito di dolore e di collera feroce. Rispose all'attacco di Djazel con una sfezata della sua spada. Mirò al collo di Djazel, e per poco non lo recise. Seppur fatte di fiamme, le loro spade sono in grado di mozzar la testa di una creatura con un sol colpo.
- Ho visto abbastanza, concordo col mago! via di qui!- Esclamò Djazel mentre con un'acrobazia schivava il fendente mortale del Balor -Non c'è disonore a riportare a casa la pelle- disse ancora -ma chi può tirarci fuori da qui?-
In quel momento, gli occhi di Almeridian si rilassarono, e pochi secondi dopo, anche il suo corpo lo fece, così come l'espressione del suo viso. La furia del Berserk l'aveva abbandonato, era di nuovo lucido, e prese in mano la situazione.
Portò una mano al medaglione che portava al collo, mostrandolo come un amuleto, e formulando una parola magica che ne attivò il potere


.........




-"Perchè combatti?"- Mi chiese Djazel

-"Io? Io combatto per Regina Morwell, per Corte delle Stelle, combatto per le foreste di Arborea e per i Gitani viaggiatori, combatto per le carezze delle nuvole, per i segreti che custodisce il cielo stellato delle notti di estate, per chi trova i giusti principi morali dentro di sè, per chi da valore a una preghiera e per chi ha negli occhi il tramonto e nella testa una nuova alba di speranza. Per questo combatto."-

Ma quello era vero solo in parte. Dentro di me lo sapevo. Quella risposta l'avrei data migliaia di anni prima, gonfiando il petto e recitando ogni parola come una poesia, ora invece la ripetevo sottovoce, meccanicamente, quasi alla stessa maniera di come sferravo i miei colpi.
Portavo dentro di me la vergogna, il disonore, il peso di una vita corrotta, che mi aveva reso simile a quei demoni i cui cadaveri si ammucchiavano sotto i nostri piedi.
Ora a tutti quei motivi, scolpiti dentro di me come un'epitaffio su di una lapide, se ne erano affiancati altri due, più vicini a me, più egoistici ma al tempo stesso altrettanto nobili: il riscatto del mio nome, e il desiderio di risarcire il male che avevo fatto.